La mia valigia scolastica

Anche la valigia di un insegnante si chiude, come succede alla fine di ogni viaggio. Si parte con un bagaglio leggero e si ritorna con ricordi raccolti lungo il percorso, oggetti e foto che possano portare sempre a momenti di gioia, anche quando il viaggio sembra ormai un lontano ricordo. La mia valigia è ancora aperta, in attesa di essere riempita delle ultime cose, ultimi attimi di un anno , il più difficile. Non riesco a richiuderla. La guardo e sono tentata. Mi dico che è finita, ma c’è qualcosa che m’impedisce di pensarlo realmente. Sarà che a sancire la fine c’è sempre un evento, un’ultima campanella, un canto, un saluto, un abbraccio, una lacrima, un sorriso, un addio. La fine di un percorso è segnato da riti che adesso più che mai, mi appaiono indispensabili, necessari, per chiudere un cerchio, per definire quello che è stato, per dare un senso al viaggio. L’ultima campanella non è ancora suonata. . La scuola sembra rimasta alla fase zero. E così, anche il mio percorso di docente sembra rimasto fermo, incompiuto, senza fine.
Sono abituata a pensare attraverso le voci dei bambini, a programmare e riprogrammare la giornata lavorativa più volte, perché la rotta la conosco, ma viene rivista continuamente a fronte dell’imprevedibilità del contesto in cui opero. Sono andata avanti, per tenere in mano il filo, per non svuotare la valigia dei ricordi, fatta di pezzetti di un puzzle che va a ricostruire un percorso di formazione unico per ciascuno. Mi guardo intorno e penso che si, davvero la scuola non è perfetta. Mi guardo intorno e non mi sono mai sentita più sola, incompleta e incompiuta, come quest’anno scolastico. Perché la scuola è prossimità, non distanza. La scuola è incontro. Mi chiedo adesso, cosa diventerà, invece. Posso provare a trovare opportunità di cambiamento, la riflessione e la rimodulazione del percorso . Questa può essere davvero un’occasione per reinventare la progettazione didattica, per pensare ad approfondire le relazioni, perché è su questo che dovrebbe rinascere una scuola nuova, che diventi la priorità indispensabile di un paese, della società tutta. Abbiamo la possibilità di riflettere profondamente sul ruolo che ricoprono gli educatori e le educatrici, sul compito che la formazione deve avere nella vita di ogni studente, a partire dall’ ’affettività. Non c’è crescita senza scambio affettivo, non c’è educazione senza emozioni, non c’è scuola senza le persone che la animano e la realizzano in ogni gesto, in ogni momento, anche al di fuori delle mura di un’istituzione.
Portare fino alla fine quella valigia e riempirla, come sempre, di sensazioni, oltre che di competenze. Cosa porto? Cosa voglio dimenticare? Nella valigia c’è l’inizio, la sensazione di speranza e di fiducia, gli errori e le prove. Porto il senso di appartenenza, alla comunità scolastica, alla classe, agli alunni . Ci apparteniamo perché viaggiamo insieme verso gli stessi traguardi e nessuno è solo, nessuno viene dimenticato. Porto il senso di gratitudine per quello che ho potuto vivere ogni giorno, e vivrò fino alla fine di questo anno.  E però, rimane aperta, la mia valigia, non riesco a chiuderla. La scuola per me è quasi finita ed io non lo so. La scuola stessa non lo sa, rimane con le pareti piene di disegni, i portapenne colmi, i cartelloni colorati , i banchi in ordine sparso. La scuola è per me finita, ne ricomincerà un’altra, in cui non ci sarò. Allora, forse, la mia valigia, riuscirò a chiuderla a settembre. Proprio al contrario, proprio quando si ricomincia, proprio quando dovrebbe essere vuota. Io non ricomincerò con questa valigia mezza piena, ricomincerò quando non sarò dietro la mia cattedra.

G.M.Marteddu gennaio 2025

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