Diario di una maestrina di Maria Giacobbe

Leggo per l’ennesima volta il libro di Maria Giaccobbe : Diario di una Maestrina. Sarà la mia sensibilità che mi fa vivere di ricordi!

“Una supplenza di quindici giorni . Bisognava partire subito, il titolare si era ammalato e i bambini già da due giorni non avevano il maestro…”.Comincia così il “l’avventura ” di Maria Giacobbe, “ragazza di buona famiglia”, “maestrina” nella Sardegna a metà degli anni cinquanta, dove la Scuola è un precario avamposto della civiltà. 

I luoghi toccati: Oliena, Fonni, Bortigali, Orgosolo, e “stazzi sperduti lungo la costa, villaggi aggrappati alle falde dei monti”, terre e paesi dal cuore antico, affondati nella miseria, un Destino d’immobilità che appare senza riscatto. La Sardegna è imbrigliata, ferma, poche speranze, poco futuro: si può solo scappare, e lo faranno in molti, Nord Italia, Torino soprattutto, Francia, Germania, dove il Destino sembra allentare la sua presa o indossare altre maschere. Entriamo a scuola, “una piccola e tiepida stanza in una casetta decrepita ai margini del paese… Il pavimento era di semplice terra battuta… I banchi erano lunghe assi sgangherate su ciascuna delle quali sedevano cinque-sei bambini. Quando uno di loro aveva bisogno di uscire, tutti gli altri dovevano spostarsi”. I ragazzi appaiono vivaci e intelligenti. Ma la “maestrina” fatica ad avvicinarli. Li vorrebbe coinvolgere, ma niente da fare. Restano distanti e diffidenti: “si sforzavano d’ignorarmi”. Quindici giorni non basteranno per coivolgerli come si dovrebbe. Va meglio nella scuola per adulti di Oliena, alle porte di Nuoro, un paese di settemila anime, senza acquedotto né fognature, e con un alto tasso di tubercolosi. Gli alunni sono “trenta uomini tra i diciotto e i venticinque anni, più un vecchio di circa sessanta”. Racconta Maria Giacobbe: “Quando per la prima volta, mi trovai sola con essi in fondo a un lungo andito deserto ebbi paura”. La scuola di Oliena gode di una pessima fama, amplificata dalle voci che corrono in paese: una maestra, si dice, è stata costretta a ritirarsi dopo un solo mese, altre insegnanti si sono decise a far lezione protette dai carabinieri. Vinto lo smarrimento e la prima paura, Maria Giacobbe gioca la sua carta, piegando i caratteri più aspri. E la sua carta è la parità, praticamente un miraggio per quegli alunni adulti da sempre assuefatti a una silenziosa sottomissione: “Non voglio che qui ci siano una maestra che parla sempre e degli alunni che ascoltano; abbiamo quasi la stessa età, dobbiamo essere un gruppo di amici che lavorano insieme”. Le parole di Maria Giacobbe fanno breccia. I ruvidi contadini, la “feccia di Oliena” tanto temuta, sono stati ammansiti con una semplice offerta d’amicizia. E anche il processo d’apprendimento si fa più spedito. Gli uomini che arrivano a scuola dopo una sfibrante giornata di lavoro iniziata all’alba, hanno “ansia d’imparare, bruciando le tappe”, e lo chiedono, lo esigono, rimproverano la “maestrina” quando si avventura in territori che, a loro giudizio, sono estranei.

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