Quanto valeva a suo modo vale ancora per i nostri tempi, perché ancora oggi il “solo” possesso ed uso consapevole della parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi che ci piovono addosso e di dare espressione alle istanze profonde del proprio cuore, come pure alle attese di giustizia di tanti che l’attendono. Di quella piena umanizzazione che rivendichiamo per ogni persona su questa terra, accanto al pane, alla casa, al lavoro, alla famiglia, fa parte anche il possesso della parola come “strumento di libertà e di fraternità”, che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nel contesto sociale, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo ancora oggi ci insegna Don Lorenzo Milani. Costui pensa e realizza una scuola che dà la parola ai poveri perché essi possano diventare maestri di umanità. Scrivendo insieme ai suoi ragazzi la “Lettera a una professoressa” invita i genitori ad organizzarsi e i maestri a convertirsi, perché la scuola assolva al suo compito costituzionale di promuovere tutti (e quindi non solo Pierino, figlio del dottore, ma anzitutto Gianni il figlio del contadino) ed educhi tutti ad essere sovrani. Ai privilegiati, a Pierino, chiede di mettersi a servizio dell’uguaglianza sostanziale: «Fai strada ai poveri senza farti strada». Restando in ascolto di questo messaggio in tempi mutati, in cui sulla selezione classista prevale ancora la tendenza a livellare tutti in basso (potendo sempre i privilegiati percorrere strade proprie, “private”), pensando la scuola in senso formativo, emerge una precisa idea di scuola (e del luogo educativo: la famiglia, la parrocchia, la città se vuole pensarsi con fini umani): uno spazio fisico, corporeo, di relazioni faccia a faccia in cui si coltiva l’alterità rispetto all’esistente, grazie al respiro di quei larghi e significativi orizzonti che si aprono quando si padroneggia la parola e si ricevono grandi consegne e tradizioni. Allora il primo messaggio che colgo da Don Milani e dalla scuola di Barbiana è che dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze per una scuola che sia il luogo in cui si offrono, contro il vuoto e il virtuale, testi e messaggi che ci segnano e ci fanno crescere in umanità, contro il conformismo accomodante; per una scuola che solleciti il necessario scontro perché possano svilupparsi singolarità e capacità critica, proponendo, contro il sotterfugio e l’arrivismo, la lealtà e l’altruismo, contro il qualunquismo, la politica nel senso dato a Barbiana («Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è politica, sortirne da soli è egoismo»), contro la rassegnazione, la speranza, contro la ricreazione continua che intontisce, l’intensità e la gioia di un paziente lavorio che permette di ri-trovarsi con verità. Questa era l’azione decisa ed operativa di Don Lorenzo, tanto è vero che ebbe a dire «Ma se si perde loro (gli alunni), la scuola non è più la scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati». Era quella di Barbiana una situazione che, associata a tante altre, creava non poca tensione, in special modo in una società in veloce cambiamento. Infatti, l’anno successivo, il 1968, esplose in tutta la sua vigoria la rivoluzione studentesca che coinvolse un’intera generazione, quel ’68 che ha caratterizzato con i suoi strascichi i due decenni successivi e che ha cambiato il modo di vedere la scuola e la sua funzione.
La scuola, infatti, era ancora intesa come l’indispensabile ascensore sociale che avrebbe portato coloro che ne seguivano i canoni ai piani alti della società. Solo un lustro prima, nel 1962, era stata introdotta la scuola media unificata attuata nell’anno scolastico successivo, il primo di ottobre 1963. Si metteva fine a quel grande azzardo che voleva che i ragazzi scegliessero il loro futuro, liceo o scuole professionali, a soli dieci anni. Permaneva, però, ed in parte permane ancora oggi, nella scuola un atteggiamento classista, più o meno velato. Ancora oggi vige una sorta di razzismo, seppure molto ben dissimulato, che tende a lasciare indietro quegli alunni che non accettano le regole imposte dalla scuola che continua, come già disse don Milani, a fare parti uguali tra diversi. Infatti, ancora oggi non pochi sono i docenti che pretendono traguardi uguali in tempi uguali da tutti i ragazzi, senza tenere conto della situazione iniziale e delle possibilità personali e familiari.
Dimenticano che oggi si parla di diritto all’apprendimento e non solo di diritto allo studio. Vige ancora, seppure sotto mentite spoglie, la dittatura del programma. Ancora oggi è ben vivo il dualismo fra chi rimpiange la scuola selettiva, più severa, quale garanzia di serietà: chi non si impegna adeguatamente non va avanti. Altri, invece, sono per una scuola più accogliente, donmilaniana come è stata definita da qualcuno, una scuola più accogliente, più attenta alle peculiarità individuali, una scuola che si fa carico della storia di ogni ragazzo, che vede tutti come BES, bisognosi di un’educazione speciale, perché speciale reputa ogni persona, anche se sta vivendo il ruolo di alunno. Oggi la posizione dominante sia nella normativa sia nella pratica quotidiana è proprio quella basata sull’inclusione introdotta dal don Lorenzo Milani. Permane, però, una minoranza insoddisfatta, ancora legata alla vecchia concezione di una scuola austera ed autoritaria, “seria”, per cui critica fermamente la scuola più inclusiva, bollandola come lassista ed eccessivamente permissiva. In realtà, si tratta di una contraddizione apparente. Infatti la causa è da ricercare nel fatto che la classe docente è disorientata, perché la scuola reale è costretta a muoversi tra molte contraddizioni non risolte, tra principi e norme inclusive che vengono impastoiate da una burocrazia rigida e soffocante e da pratiche didattiche altrettanto rigide e fortemente ancorate al momento valutativo, inteso come resa dei conti e non come fattore di crescita per alunni e docenti. Si pensi alla numerosa serie di rovesciamenti di vision che la scuola ha vissuto a far data dal 2000 in poi. In tal modo si mandano i ragazzi alla classe successiva con carenze e lacune, a volte anche gravi. Il problema non è bocciare o respingere, il problema vero, sulla scia dell’insegnamento di don Lorenzo Milani, è fare in modo che tutti gli alunni acquisiscano, ognuno a modo proprio, il diritto di accedere, per meriti individuali, alla classe successiva. Il segreto, semplice ed impegnativo ad un tempo, è quello di motivare ogni ragazzo, dargli una speranza di un futuro migliore, di autorealizzazione.
È importante parlare oggi di una scuola centrata sui valori, non perché questi non ci siano ma perché la scuola spesso rischia di diventare una trappola burocratica, tesa a compilare schede e finire i programmi che purtroppo nessuno capisce che non esistono più. I ragazzi studiano spesso solo per affrontare una verifica, manca la continuità necessaria per apprendere.
Non solo, la scuola di oggi rischia di essere un luogo in cui si viene giudicati, più che la palestra della conoscenza e della formazione. È una scuola valutativa più che formativa, dove si è perso lo stupore della conoscenza, la voglia di approfondire, e così si studia la sera prima giusto per andare all’interrogazione. La scuola dovrebbe cambiare atteggiamento, abituare alla riflessione, al pensiero argomentativo, trasformare, non limitandosi a distribuire voti e valutazioni. Non dovrebbe stimolare alla competizione ma alla competenza di cui ognuno è portatore, non preparare piccoli scalatori sociali, ma cittadini consapevoli, liberi e responsabili.
Recuperiamo i valori della Scuola di Barbiana e recupereremo il senso della Scuola!