Non bisogna essere interclassisti ma schierati. Bisogna ardere dell’ansia di elevare il povero ad un livello superiore. Non dico a un livello pari dell’attuale classe dirigente. Ma superiore: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più di tutto.” (Don Milani in Esperienze pastorali). L’innovazione che, nella scuola, Don Milanici indica iniziando da Barbiana, parte da pensieri unici e originali e dal motto in inglese della scuola “I care”, in italiano “mi importa”. Come bisogna essere per fare scuola? Il suo obiettivo di progetto educativo era l’emancipazione delle classi subalterne, un insegnamento volto a colmare quelle differenze di classe che nella scuola pubblica italiana avevano fortemente penalizzato i ragazzi più poveri e provenienti da contesti di disagio. Don Milani , inizialmente, decide di utilizzare la lettura dei giornali in classe, mettendo in evidenza i temi attuali di quel periodo e analizzando a lungoi termini difficili. Per lui solo la cultura poteva aiutare i contadini a non rassegnarsi alla loro situazionee e l’uso della parola doveva equivalere alla ricchezza e alla libertà. Un insegnante è consapevole che insegnare richiede ottime doti organizzative ed essere in grado di stabilire degli obiettivi, delle attività e dei piani di valutazione prima di iniziare qualsiasi giornata scolastica. Penso che possiamo guardare la nostra scuola partendo ancora dalla lettura : Lettera a una professoressa. Molti degli argomenti dei ragazzi di Barbiana si possono capire solo tenendo conto di come era l’Italia in quel periodo,un paese povero e arretrato sia culturalmente sia socialmente. Tante osservazioni sembrano essere più che mai vive. Lettera a una professoressa contiene un atto di accusa molto duro verso la scuola italiana. Una scuola classista che consolida le disuguaglianze socioeconomiche e culturali presenti nella nostra società. Una scuola che impedisce ai poveri di migliorare la propria condizione sociale e non fornisce i mezzi necessari affinchè tutti gli studenti possano, comunque, avere successo a scuola. Per capire il personaggio dal punto di vista dell’intensità con cui ha vissuto la vita a partire dai primi 7 anni di sacerdozio a San Donato di Calenzano e i successivi 13 a Barbiana è necessario parlare della sua morte. Il prete e maestro era considerato un escluso; per la Chiesa un prete esiliato, per la scuola un maestro emarginato e per lo Stato un cittadino incriminato e poi condannato. Solo poche persone avevano condiviso i suoi insegnamenti e gli erano state vicino. Ma la sua scuola non era come le altre e don Milani non era un maestro come gli altri: in quella scuola, tutto nel quotidiano era occasione di insegnamento che fece scattare in me la curiosità e l’amore verso il suo insegnamento. Si stava a scuola tutto il giorno, scuola di vita, ma non era un imparare solo sui libri. A Barbiana ogni giorno arrivavano persone interessanti: giornalisti, sindacalisti, magistrati, avvocati, deputati e tutti facevano scuola e rispondevano alle tante domande di chi quella scuola frequentava. Ogni occasioneserviva per imparare: «Anche la malattia del Priore finì sui “banchi”. A suo fratello che lo curava e al suo medico chiedeva: ora mettetevi qui e spiegate bene a questi ragazzi che cosa succede dentro il mio corpo. Sono gli anni delle grandi lacerazioni politiche attorno alle elezioni del 1948, della scomunica ai comunisti. Don Milani fa campagna elettorale per la Democrazia cristiana, anche se invita a tener conto nelle preferenze dei più attenti alla causa dei poveri. Ma, a contatto con la povertà e con lo sfruttamento, comincia a percepire nell’anima lo scarto tra le opportunità in cui è cresciuto e la miseria materiale e intellettuale in cui versa il popolo che gli è stato affidato e a maturare una profonda coscienza sociale. Fa scuola perché capisce che chi non ha la cultura minima per leggere un giornale o un contratto di lavoro non è in grado di difendersi dallo sfruttamento né di elaborare un pensiero critico. Si rende conto che senza la comprensione delle parole l’orizzonte della vita umana si riduce alla conquista di un piatto di minestra la sera e che anche l’ascolto della Parola rischia di diventare mera prosecuzione di riti, di cui non si comprende il significato. Cominciano a maturare le convinzioni che sfoceranno in Esperienze pastorali. Cominciano qui le incomprensioni con la gerarchia che vede nelle idee di quel cappellano più un pericolo che un invito accorato al ritorno all’essenza spoglia del Vangelo di Cristo, così efficacemente sintetizzata pare nel 1950, ma la data è controversa, nella lettera al giovane comunista Pipetta: «Quando tu non avrai più fame né sete, ricordatene Pipetta, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno d’un sacerdote di Cristo: “Beati i… fame e sete”». La scuola di Barbiana è aderente alla vita e a tempo pienissimo: tutto è occasione di apprendimento, la fanno da padrone le parole in tante lingue per capire il mondo e il Vangelo. Don Milani accoglie i diseredati, quelli senza un’alternativa, rifiutati dalle scuole ufficiali, provenienti dalle case della zona o portati dagli amici. Ancora un anno scolastico ed io terminerò la mia carriera. Grazie Don Milani perchè il tuo insegnamento è stato, fin dalle prime supplenze, la base del mio operare. Sarà perchè dove ho frequentato la scuola elementare potrei, in un certo qual modo, paragonarla alla tua scuola di Barbiana.
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Tutti sappiamo che oggi si celebra l’Assunzione di Maria in cielo, ma forse non tutti sappiamo che questa festa ha